Nell'introdurre
questa sezione dedicata alla Persefone desidero
ringraziare il Prof. Gaudio Incorpora, appassionato studioso del
patrimonio storico-archeologico della nostra terra,
il quale ormai da mezzo secolo porta avanti con
tenacia e passione la sua battaglia affinché la
vera origine della Persefone venga finalmente
riconosciuta da tutti e la sua storia non venga
dimenticata.
Desidero ringraziarlo per avermi dato la possibilità,
attraverso la consultazione della ricca
documentazione in suo possesso, pazientemente
raccolta in lunghi anni di ricerche, ed attraverso
la sua disponibilità a fornirmi chiarimenti sui
vari punti della vicenda, di realizzare questa
sezione e di venire a conoscenza di fatti che
ignoravo totalmente.
Con la pubblicazione su internet di questa che, desidero
sottolineare, è una piccola parte, un riassunto di quelle
che sono le vicende della Persefone, intendo semplicemente
far conoscere al più ampio pubblico possibile quella che è
la storia dimenticata (o, come capirete leggendo, spesso
volontariamente ignorata) di uno dei più bei reperti che il
mondo della Magna Grecia ci ha tramandato.
LA PERSEFONE
(Immagine tratta dall'archivio privato del Prof. G. Incorpora)
INTRODUZIONE
Chi ha visitato l'Alt
Museum di Berlino (sezione degli Staatliche Museen
della capitale tedesca dedicata ai reperti greco-romani)
non sobbalzi sulla sedia nel leggere in questo sito che
questa splendida statua di divinità femminile in trono, la
Persefone (come la chiameremo da qui innanzi), ha origini
Locresi, come del resto già nel 1917 era stato ipotizzato
da vari studiosi tedeschi (e tra questi citiamo l'archeologo e
numismatico tedesco Behrendt Pick,
allievo prediletto di Theodor Mommsen) che nella statua
avevano riscontrato un modello tipico della colonia Locrese.
Quella della Persefone è, forse, una delle tante storie correlate
a quello che fu, tra la fine dell'800 e la prima metà del
XX secolo, il sistematico trafugamento e contrabbando di
molte opere del nostro immenso patrimonio storico ed
artistico; ma in questa storia, la vicenda del trafugamento
della Persefone, si inserisce un altro elemento per molti
aspetti molto più triste del trafugamento stesso per chi
ha realmente a cuore le sorti dell'antica Locri, ossia
quello dell'attribuzione di altre origini a questa
meravigliosa statua. Infatti, alla statua, qualsiasi testo
di archeologia o di storia dell'arte vi ritroviate tra le
mani, nel quale si parli della Persefone, vedrete sempre
associato, come luogo di origine, il nome di Taranto.
Ma perché Taranto? La storia è lunga e complessa ed è
difficile anche trovare un punto di partenza per iniziare a
narrarla; meglio, dunque, stabilire almeno un punto fermo:
l'attribuzione a Taranto della statua venne fatta
dall'archeologa Paola Zancani Montuoro nei primi anni
'30 e da allora, nonostante la mole copiosa di prove e di
circostanze ambientali che sembrano inequivocabilmente
contraddire tale attribuzione, la statua venne indicata come
di origine tarantina.
L'AMBIENTE NEL QUALE SI SVOLSE LA VICENDA
Tra la fine dell'800 e gli inizi
del '900, il patrimonio archeologico dell'antica Locri
Epizefiri subì una costante e continua spoliazione dovuta in
parte all'ignoranza della
povera gente, che vedeva nei resti dell'antica città solo
del materiale facilmente reperibile da riutilizzare nella
costruzione di povere case, ed in parte (la maggiore) al
contrabbando delle opere artistiche operato dai signorotti
locali, che in esso avevano visto una formidabile ed, al tempo
stesso, semplice forma di arricchimento, in quanto i
compratori privati o istituzionali (musei), soprattutto
stranieri, non mancavano di certo e l'offerta era quanto più
varia possibile: dall'offerta di statue ad, addirittura,
intere colonne.
Lo stesso grande archeologo Paolo
Orsi (al quale Locri è eternamente grata per aver portato
alla luce e preservato il più possibile il suo immenso
patrimonio storico-archeologico) era a conoscenza di tali
circostanze, ed in una sua missiva muoveva precise accuse in
particolare ai fratelli Scannapieco che egli definiva 'negozianti
di derrate e chincaglie, ed a tempo opportuno anche di
antichità' e ricordava il magnifico tesoro composto da
una serie di lance, di anelli, monete, scudi, anfore e
tantissimi altri reperti che essi custodivano nelle loro
proprietà 'parte in campagna e parte a Gerace',
auspicando al più presto l'istituzione di leggi 'provvide
e severe per la tutela dei monumenti non meno che contro gli
scavi abusivi'.
Ma tali leggi non esistevano
ancora; va, infatti, ricordato che (siamo nei primi anni del
'900) lo stesso comune di Locri (che all'epoca si chiamava
Gerace Marina) si era formato da poco ed il controllo del
territorio da parte delle autorità era praticamente
inesistente.
Dopo questa doverosa premessa per capire
l'ambiente nel quale si svolsero i fatti, seguiremo ora
dettagliatamente lo sviluppo della vicenda legata alla
Persefone.
LA STORIA DEL TRAFUGAMENTO
La statua, il 16 dicembre del 1915, venne esposta nel Museo Reale
di Berlino; gli studiosi tedeschi, tra i quali il già citato
Pick, ipotizzarono subito un'origine Locrese. Ma come era giunta in Germania?
Fino al 1921 la vicenda restò
avvolta nel mistero e nel silenzio; in quell'anno, però, il
prof. V. Casagrandi pubblicò un libro-denuncia nel quale,
dopo aver minuziosamente descritto il trafugamento della
statua, invitava le forze culturali calabresi a rivendicare
l'opera. Con la pubblicazione di tale libro si
incominciarono a delineare i contorni della vicenda che ebbe
inizio nel 1905 (tale data si conosce grazie ad una
testimonianza risalente al 1966; era quindi ignorata dal
Casagrandi, il quale riteneva che la statua fosse stata
rinvenuta nel 1911 e subito venduta ' Questo particolare, a
prima vista di poco conto, è invece di estrema importanza,
come vedremo in seguito, e probabilmente ha influito in
maniera decisiva sulla travagliata storia della Persefone).
In quell'anno, durante i lavori
di scasso di una vigna di proprietà della famiglia
Scannapieco, venne alla luce la statua. Vincenzo Scannapieco,
titolare del fondo, la fece nascondere in un frantoio,
aspettando il momento propizio per venderla al miglior
offerente, e lì la statua rimase fino al 1911,
anno in cui si fece avanti un compratore tedesco che
concluse l'affare.
Il prezioso reperto venne, quindi,
in un primo tempo, portato a Gioiosa Marina dove, grazie ad un
fondale adatto, venne imbarcato su una nave con destinazione
Taranto.
Qui venne nascosta nei pressi
dell'Arsenale in attesa di essere imbarcata per la Germania.
Ma le cose non andarono come
stabilito in quanto la statua venne scoperta da alcuni
sterratori che, non immaginando nemmeno di avere tra le mani
un vero e proprio tesoro, la vendettero per un tozzo di pane
al marchese F. De Maldè che la fece trasportare ad Eboli dove
venne studiata attentamente dal noto antiquario palermitano
Virzì.
Alcuni anni dopo la statua venne
denunciata alla dogana come 'statua da giardino
barocca' e fini nelle mani dell'antiquario bavarese
Hirsh, il quale la espose a Parigi nel 1914.
Quell'anno, come sappiamo,
scoppiò la prima guerra mondiale, ed il governo francese
confiscò la statua, in quanto appartenente ad una persona di
nazionalità tedesca e quindi nemica.
A questo punto l'Hirsh cercò,
come ultimo disperato tentativo per non perdere la statua, di
far intercedere per lui presso le autorità francesi il suo
amico Virzì, l'antiquario palermitano già citato in
precedenza. Questi, forte anche della sua cariche
istituzionali (era Console in una repubblica del Sud America)
e del fatto che la Francia in quel periodo travagliato voleva
che i rapporti con l'Italia rimanessero più che buoni,
riuscì, affermando di essere il legittimo proprietario della
statua, a far dissequestrare l'opera.
L'opera, però, non tornò mai
in Italia; dalla Francia passò in Svizzera e qui l'Hirsh,
tornatone in possesso, la offrì al Governo tedesco in cambio
di un milione di marchi (una cifra enorme per l'epoca, siamo
nel 1915). Nonostante la cifra però, il Governo tedesco
raccolse in brevissimo tempo il denaro (anche attraverso una
sottoscrizione pubblica) e lo stesso imperatore versò circa
mezzo milione di marchi per la statua.
Finalmente il cerchio si chiude,
la statua (che, come sottolineato dal Casagrandi, venne inventariata come 'Persefone
in trono da Locri') trova dimora definitiva presso il
Museo Reale di Berlino ed all'Italia, alla Magna Grecia, non
resta nulla se non le polemiche.
LE POLEMICHE
Ed infatti di polemiche ve ne
furono molte ed anche violente; questo soprattutto a causa del
libro del Casagrandi, il quale da una parte aveva contribuito
in maniera decisiva a far conoscere al mondo della cultura
italiana il misfatto del trafugamento di un'opera così
preziosa, ma dall'altra insinuò assurdi sospetti sul fatto
che nel periodo del rinvenimento e del trafugamento
dell'opera il responsabile degli scavi nella zona di Locri
Epizefiri fosse Paolo Orsi, il quale, secondo il Casagrandi,
non poteva non sapere nulla della statua e, quindi (sempre
secondo il Casagrandi), doveva per forza essere stato in
qualche modo complice di coloro i quali avevano attuato il
trafugamento.
Erano, naturalmente, accuse
pretestuose e prive di fondamento che l'Orsi, per tutto
quello che aveva fatto per questa terra, non meritava
assolutamente. Accuse che erano probabilmente mosse (come
purtroppo è sempre accaduto) dall'invidia e dal volere
screditare l'Orsi per farlo rimuovere dai suoi incarichi e
favorire la scelta di altre figure per ricoprire quelli che
erano i suoi incarichi.
Tali accuse ottennero un unico
effetto, deleterio per la storia della Persefone, le cui
conseguenze si riflettono nel presente: l'apertura di un
conflitto tra studiosi che si schierarono con o contro
l'Orsi; tale conflitto portò anche ad affermazioni
completamente infondate, come, ad esempio, quella del Galli,
il quale, volendo difendere l'amico Paolo Orsi, arrivò ad
affermare che per lui la statua era un falso. Nella polemica
si inserì anche Paola Zancani Montuoro, all'epoca alla
guida della Soprintendenza Archeologica tarantina, la quale,
dopo una lunga catena di scambi polemici, soprattutto con il
già citato Galli, riuscì a far prevalere la propria tesi,
secondo la quale la statua era di origine tarantina.
Ecco, quindi, spiegato il perché
dell'effetto deleterio di quelle polemiche; polemiche che
non avrebbero avuto ragion d'essere se il Casagrandi fosse
stato a conoscenza del fatto che la statua, come detto in
precedenza, non era stata rinvenuta nel 1911, bensì nel 1905.
A quell'epoca, infatti, l'Orsi non era responsabile degli
scavi della zona di Locri Epizefiri, carica che, invece,
ricoprirà a partire dal 1908; circostanza questa che, se ve
ne fosse stato ancora bisogno, liberava definitivamente
l'Orsi da qualsiasi sospetto di complicità nel trafugamento
dell'opera.
Nessuno, naturalmente, può dirlo
con certezza, ma, quasi sicuramente, se il Casagrandi non
avesse tirato in ballo l'Orsi facendo divampare la polemica
fra gli studiosi, soprattutto fra quelli che erano pronti pure
a mentire (affermando addirittura che la Persefone era un
falso) pur di proteggere l'archeologo di Rovereto,
probabilmente oggi la Persefone sarebbe sempre esule, ma
sarebbe da tutti riconosciuta come un'esule figlia di Locri.
LA TESTIMONIANZA DI GIOVANNI GIOVINAZZO
Nel
1966 un elemento nuovo, ed assolutamente straordinario per la
sua importanza, si inserì nella vicenda.
Grazie
al paziente lavoro di ricerca che il Prof. Gaudio Incorpora,
appassionato studioso del patrimonio storico-archeologico
della nostra terra, aveva intrapreso sulla travagliata storia
della Persefone, si riuscì a trovare un testimone diretto dei
fatti avvenuti sessant'anni prima.
Si
trattava di un contadino, ormai anziano che, alle
dipendenze di Vincenzo Scannapieco, aveva assistito
alla scoperta ed al trafugamento dell'opera e che si
era deciso a parlare solo dopo che il nipote, prete,
lo aveva liberato da un giuramento di silenzio fatto
sessant'anni prima al suo vecchio padrone.
Il
contadino si chiamava Giovanni Giovinazzo, nel '66
era ormai alle soglie degli 80 anni, ma i suoi ricordi
erano vivi come se i fatti dei quali stava
accingendosi a parlare fossero avvenuti solo pochi
giorni prima e fu anche in grado di indicare con
precisione i luoghi attuali dove, agli inizi del
secolo, si svolsero i fatti.
GIOVANNI GIOVINAZZO
(Immagine tratta dall'archivio privato del Prof. G. Incorpora)
Lo
scalpore che produsse la sua narrazione dei fatti fu tale che
oltre alla stampa nazionale, persino la televisione, i
notiziari della RAI, si interessarono alla vicenda. Ecco un
breve riassunto delle parole con le quali il cronista Paolo
Cavallina commentava il servizio su Giovanni Giovinazzo:
(dal
telegiornale del 25 giugno 1966) 'Giovanni Giovinazzo
da Locri è un uomo di parola. Anche troppo. Giurò di non
rivelare un segreto ed ha mantenuto il suo giuramento per
oltre sessantuno anni. Se non fosse stato per don Giuseppe, suo nipote
e parroco di Moschetta che lo ha sciolto da quel giuramento,
dalla sua bocca non sarebbe mai uscito il nome di Persefone
con gran danno dell'archeologia'. Il racconto del cronista prosegue poi con una sintesi della storia del
trafugamento, dopo la quale vengono riportate alcune parole
del Giovinazzo mentre guida il cronista ed altri giornalisti
sul luogo dove sessant'anni prima era avvenuto il
rinvenimento: 'Vincenzo Scannapieco (è
il Giovinazzo a parlare) era un buon uomo; quando morì
lasciò tutti i suoi beni al Comune, segno che si era pentito
di aver venduto Persefone.
(e, aggiungiamo noi, ricordando le parole dell'Orsi, molti
altri reperti) Si, Persefone era qui sotto. - dove il
vecchietto picchia col bastone - E questo fu l'argano che
servì a tirarla su e ci volle tanta pazienza e tanta fatica!
E queste furono le catene che servirono a issarla sul
carro'. Riprende poi la
narrazione del cronista: 'E' un discorso
convincente. Ora gli archeologi, potranno stabilire la verità
e ridare a Persefone, Dea del Bene e del Male, la sua vera
patria che fu probabilmente Locri e non Taranto. Il vecchietto
che è stato muto per sessantuno anni domanda: - Che
differenza fa?'
Riassumendo
brevemente quella che fu la testimonianza dell'anziano
contadino, che tanto clamore suscitò sulla stampa, alla radio
ed in televisione, vanno in essa senza dubbio sottolineati
quelli che sono i punti fondamentali: l'indicazione precisa
dell'anno in cui la Persefone venne rinvenuta, e cioè il
1905 (con l'indicazione del modo in cui venne portata alla
luce e di alcuni dei contadini che parteciparono al
rinvenimento); l'occultamento della statua almeno fino al
1911 in un frantoio in località Quote, ed infine lo
spostamento dal suo nascondiglio, avvenuto in quello stesso
anno, per essere trasportata a bordo di un carretto, a Gioiosa
Marina da dove poi sarebbe stata imbarcata con destinazione,
Taranto.
Questa,
dunque, la testimonianza, il cui valore nessuno può mettere
in discussione anche perché ufficializzata da un atto
giudiziario, un'inchiesta (i cui atti si possono oggi
trovare nell'archivio del Tribunale di Locri), compiuta nel
1966 dall'allora Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Locri, Dr. Domenico Palermo, il quale raccolse le
testimonianze di tutte le persone coinvolte nella vicenda.
In
quel periodo si pensò di essere finalmente molto vicini ad
una conclusione positiva della vicenda ma, passato il primo
periodo di euforia, la vicenda ricadde nel silenzio e
nell'indifferenza del grande pubblico e, cosa peggiore, del
mondo accademico.
I TENTATIVI DI RIPORTARE LA STATUA IN ITALIA
In
quell'anno, 1966, comunque, complice una visita a Locri
dell'allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, ed
il ritrovato entusiasmo della popolazione locrese per il
proprio passato e per le sorti della Persefone (motivato anche
dalla straordinaria testimonianza di Giovanni Giovinazzo), il
mondo della cultura locrese capì che era il momento di
destarsi da un immobilismo che durava ormai da troppo tempo ed
invitò, quindi, l'Amministrazione Comunale a fare dei passi
ufficiali nei confronti del Governo per cercare di ottenere
dalla Germania la restituzione della statua, richiedendo anche
un interessamento diretto al Presidente della Repubblica.
La
richiesta non cadde nel vuoto ed il Ministero della Pubblica
Istruzione (all'epoca a tale Ministero erano delegati i Beni
Culturali) avviò subito delle indagini e rispose celermente
all'interpellanza del Comune di Locri.
In
tale risposta, datata 11 luglio 1966, il Ministero affermava
che, presa visione della situazione, il caso della Persefone
andava inquadrato 'nel problema generale delle
trasmigrazioni delle opere d'arte avvenute in varie epoche
per i motivi e per le circostanze più disparati da un paese
all'altro'. Era questa, ovviamente, una forma
burocratica per dire, in parole povere 'ci dispiace, siamo
al corrente del fatto, ma non possiamo farci niente'; nulla
di fatto, quindi, ma questa risposta del Ministero è comunque
importante in quanto in essa si parla, come oggetto della
questione, della 'restituzione della statua di Persefone,
trafugata a Locri', per la prima volta, dunque, anche il
Ministero sottolineava l'origine locrese della statua.
Fatto,
questo, che si va ad unire alla successiva richiesta, datata 9
settembre 1966, di visionare il fascicolo relativo alla Persefone, che la
Direzione Generale delle Antichità di Roma rivolse alla
Soprintendenza di Taranto; il 16 settembre la Soprintendenza
rispondeva inviando a Roma un dettagliato rapporto nel quale
si affermava che erano stati compiuti svariati saggi di scavo,
operati in due differenti periodi, nella zona 'ove a suo
tempo venne rinvenuta la statua, senza però pervenire a
risultati apprezzabili'. Non erano stati, quindi,
rinvenuti elementi e reperti archeologici
che convalidassero l'ipotesi che il sito dove la
statua venne ritrovata fosse il suo sito d'origine; veniva,
di conseguenza, avvalorata la tesi secondo la quale Taranto
non era il luogo di origine della Persefone, bensì solo un
luogo di transito.
Con
lo scambio di missive tra la Direzione Generale delle Antichità
di Roma e la Soprintendenza tarantina, si chiude questa fase
nella quale la Persefone tornò agli onori delle cronache;
fase che cominciò con l'intenzione di riuscire ad ottenere
un rientro in Italia della statua e che si concluse con una
innegabile e chiara posizione istituzionale che indica Locri
come luogo reale di origine della statua.
A
questo periodo seguono altri lunghi anni di silenzio nei quali
vi furono tentativi di riportare, attraverso
l'interessamento governativo, la Persefone in Italia, ma si
conclusero tutti in un nulla di fatto.
Numerose sono
state anche le iniziative parlamentari, anche recenti, volte
a far luce sulla vicenda. Infatti, a partire dal 1984 e fino
al 2004, negli archivi degli atti della Camera dei Deputati
si contano ben sei interrogazioni a risposta scritta
effettuate da deputati calabresi e destinate al responsabile
di turno del Ministero con competenza per i Beni Culturali.
Di queste solo una, risalente al 1997 (N. 4/07682 del
19/02/1997, seduta n. 154 della XIII Legislatura) ed
effettuata dall'On. Fortunato Aloi,
ricevette risposta e fu una risposta a dir poco scandalosa
data dall'allora
Ministro dei Beni Culturali On. Walter Veltroni. Egli, infatti,
tanto per dare un'idea del tono della stessa, arrivava ad
affermare che 'non è possibile intraprendere un'azione
per ottenere la restituzione dell'opera' per non
compromettere 'la fattiva collaborazione in atto' con
le autorità tedesche 'per la restituzione all'Italia
di opere in merito alle quali le nostre richieste hanno ben
maggiore fondamento'; ci farebbe piacere rivolgere
all'ormai ex-ministro una domanda su quali debbano essere
questi maggiori fondamenti, visto che non vi è dubbio che la
statua sia di origine magno-greca e che sia stata trafugata ed
esportata di contrabbando (quindi non venduta legalmente) in
Germania agli inizi del '900.
Forse
l'allora ministro con l'affermazione 'maggiore
fondamento' intendeva farci capire che la Persefone non
godeva di molti santi nel 'paradiso' accademico nazionale
e che, quindi, a nessuno sarebbe, poi, importato molto se
l'opera fosse rimasta a Berlino.
E del resto di
questi 'santi' la Persefone "zu Lokroi" purtroppo non
ne ha mai avuti nel mondo accademico. Infatti portare avanti la causa
dell'origine locrese della Persefone, pur suffragata da
prove, analisi storiche, presenze di templi e di culti,
reperti e testimonianze più che convincenti,
significherebbe dover contraddire la Zancani Montuoro, uno dei
'mostri sacri' del panorama archeologico italiano e
'rischiare' così di veder 'macchiato' il proprio nome
in ambito accademico; meglio quindi lasciar perdere e non
avventurarsi in difficili e laboriose ricerche, nemmeno per
il raggiungimento di una verità storica finalmente certa.
Ma
ciò ci interessa fino ad un certo punto; non è compito di
questo sito stabilire verità o menzogne, attribuire meriti o
demeriti. L'obiettivo di questa sezione dedicata alla
Persefone è quello di far conoscere, come si diceva
all'inizio, la storia dimenticata (anche se ignorata sarebbe
il termine più adatto) del trafugamento della Persefone dal
luogo dove aveva riposato per circa duemila anni fino al suo
approdo (ormai, temiamo, definitivo) all'Alt Museum
di Berlino.